Gli italiani sono i più impoveriti dall’inflazione tra i Paesi Ocse L’Italia ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie: dalla fine del 2022, sono scesi del 7,5% rispetto al periodo precedente la pandemia | lidiabaratta
Di fronte all’inflazione galoppante, gli stipendi degli italiani si sono impoveriti più che altrove. L’Italia è il Paese Ocse in cui le retribuzioni dei lavoratori hanno perso maggiore potere d’acquisto, anche perché la metà dei dipendenti ha il contratto scaduto da oltre due anni e da noi non esiste il salario minimo. Eppure, nonostante la frenata delle buste paga, siamo tra i Paesi che meno hanno protestato contro il caro vita.
Ma a preoccupare di più sono i salari italiani. L’aggressione russa contro l’Ucraina ha contribuito all’impennata dell’inflazione, che non è stata accompagnata però da una corrispondente crescita dei salari nominali.
Ma conta anche l’assenza del salario minimo, spiegano dall’Ocse. «Laddove esistono, i salari minimi in media hanno tenuto meglio il passo con l’inflazione», spiega Garnero. «I dati dicono infatti che sono aumentati del trenta per cento del valore nominale negli ultimi due anni e mezzo, quindi anche leggermente sopra il +24 per cento dell’inflazione».
In Italia, i salari fissati dai contratti collettivi sono diminuiti in termini reali di oltre il sei per cento solo nel 2022, continuando a perdere valore poi nel 2023. Anche perché, contrariamente ad altri Paesi che hanno rinnovi contrattuali più brevi, da noi i contratti collettivi vengono rinnovati ogni tre anni, con un gap di tempo più lungo, rendendo ancora più difficile che i salari stiano al passo con la crescita dei prezzi.
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