Il primo incontro ad Arcore, la nascita di ForzaItalia, il 'Giornale' e la lunga storia con Montanelli: VittorioFeltri racconta SilvioBerlusconi
Gli uomini non sono immortali, fortunati coloro che riescono a invecchiare, tra i quali ci sono anche io e c’era anche il Cavaliere. A cui devo molto, tra l’altro mi ha trasferito tra i benestanti pagandomi alla grande. Eravamo amici, ci davamo del tu. Poco prima di ammalarsi mi telefonò. Scherzosamente mi chiamava Numero uno, io che forse non riesco ad essere il centesimo.
«Il signore in questo momento si trova in giardino, sta accompagnando Gianni Agnelli all’elicottero. Se si incammina per questo vialetto, vi incrocerete», mi comunicò il maggiordomo appena varcata la soglia della residenza. E fu proprio lì che ci vedemmo per la prima volta, su quel vialetto. L’imprenditore mi venne incontro e mi salutò in modo cordiale, quasi affettuoso. Era giovane, gentilissimo ed energico. Avevo davanti a me un uomo semplice. Non provavo soggezione.
Il Giornale andava abbastanza bene quando esordì il nuovo quotidiano fondato da Montanelli La Voce, che vendette da subito la bellezza di 500mila copie. Tuttavia, io ero tranquillo. Avevo studiato bene quel giornale e lo vedevo brutto. Non avevo nessun timore. Sapevo che La Voce sarebbe stata una meteora. Scintillante all’inizio e dalla vita breve. Infatti, durò solamente un anno. Da 115mila copie a gennaio del ’94, Il Giornale superò le 200mila a fine luglio.
Intervistato dal settimanale, al fondatore del giornale che io dirigevo fu chiesto se fosse vero ciò che si diceva, ossia che io fossi un suo allievo. «Questo non lo posso dire, ma da come scrive sento che è un mio parente», fu la sua risposta. E poi: «De Il Giornale cosa ne pensa?». «È come avere un figlio drogato», dichiarò gelido ed ironico Indro.
Era il marzo del 2001. Non ci chiarimmo mai più. Indro morì. Mi dispiace non averci parlato, ma, in fondo, non c’era nulla da chiarire. Avevo ragione io.
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